27 febbraio 2008

AIUTIAMO A GUARIRE

www.fibrosicisticaricerca.it

Insieme per una grande impresa:

GUARIRE LA FIBROSI CISTICA


La fibrosi cistica, la malattia genetica grave più diffusa nel mondo.

La fibrosi cistica, conosciuta anche con il nome di mucoviscidosi, è la malattia genetica grave più diffusa.

Non c'è guarigione.

Le cure attuali sono complicate, pesanti e occupano spesso parecchie ore al giorno per tutta la vita.

Oggi chi ne è affetto ha un'aspettativa media di vita ancora inferiore ai 40 anni.

Quasi ogni giorno nasce un bambino malato di fibrosi cistica.

In Italia in media 200 neonati all'anno vengono al mondo affetti da questa malattia, ciò significa circa 1 bambino ogni 2500 nati sani.

Un gene che si trasmette dai genitori ai figli

Un italiano su 25 è portatore sano di fibrosi cistica: considerando la popolazione attuale, nel nostro Paese sono quasi tre milioni le persone che a loro insaputa possono trasmettere il gene mutato ai loro figli

Un Sms per la ricerca sulla Fibrosi Cistica

Fondazione per la ricerca sulla FIBROSI CISTICA

26 febbraio 2008

IL FOLLETTO CHE AMA LE DONNE


Le credenze popolari sono difficili da abbandonare.
Anche in tempi scettici come i nostri.
La Romagna , seppur da sempre segnata da un certo ateismo e riluttanza per la spiritualità , è ricca di credenze che poco hanno a che fare con la materialità di cui va fiera.
Nell'immaginario comune locale , c'è una specie di folletto che la dice lunga su questo mondo parallelo di cui pochi ammettono l'esistenza pubblicamente , ma di cui molti hanno invece un reverenziale timore.

IL FOLLETTO E' IL MAZAPEGUL : un essere molto curioso.

Di questa leggendaria creatura, ne hanno parlato e scritto in tanti.
Ma che cosa è???
Il MAZAPEGUL è uno spirito che superstiziosamente si credeva trasformarsi in uomo per giacere con le donne.
La cosa fa un po' sorridere , sembra un'ottima scusa per femmine furbe , a scapito dei mariti creduloni.

Questo folletto fa parte di una famiglia più ampia che , a seconda della zona , assumono nomi diversi.
Non è bello , lo descrivono come un essere piccolino , a metà tra un gatto e uno scimmiotto.
Ha il pelo grigio , folto , e non porta alcun vestito , se non un buffo cappellino rosso.
MAZAPEGUL agisce come un incubo: è la causa di quell'oppressione al ventre che le donne hanno spesso quando vanno a coricarsi , perchè ogni sera cerca un ventre diverso dove passare qualche ora , regalando delizie alle donne disponibili e dispetti a quelle non consenzienti.
Ma non è pericoloso , solo un po' fastidioso: insegue le donne , scompiglia loro le chiome , si nasconde sotto le gonne.
Di notte entra silenzioso nella camera da letto della prescelta ( lasciando fuori il cappellino rosso ), e le cammina addosso, rendendo difficile la respirazione.
Poi , quello che accade.....accade!!!!
Sembra venga attirato principalmente dagli occhi e dai capelli e che durante le sue incursioni , sia solito sospirare : CHE OCCHI BELLI !!! CHE CAPELLI BELLI !!!!


E' molto vendicativo : tutto bene se la donna presta le attenzioni che lui desidera , ma se questa preferisce qualcun altro , la scuoterà con rancore , le strizzerà la pelle , annoderà i capelli , nasconderà gli oggetti personali e farà a pezzetti i vestiti migliori.


******************** COME DIFENDERSI ***********************************

Ci sono molti modi per difendersi dal malefico esserino peloso.

Uno dei più curiosi, vuole che la ragazza perseguitata mangi del pane durante la defecazione: il folletto , disgustato dalla scena , apparirà per l'ultima volta apostrofandola con brutte parole.
Oppure lo si annienta prendendogli il berretto del quale è molto geloso e sembra che la forza delle sue bravate risieda proprio nel cappellino rosso.

Chi dovesse trovarlo , lo getti subito in un pozzo ( dove , odiando l'acqua , non andrà ma a riprenderlo).
Ci sarà l'incomodo per qualche sera di sentirlo singhiozzare ed implorare di ridargli il berrettino rosso , ma almeno non tenterà più di insidiare le donne.
Oppure, se lo vogliamo prendere per il naso , basta spargere dei chicchi sul davanzale della finestra , quando MAZAPEGUL arriverà , non potrà resistere e si metterà a contarli uno ad uno , fino a che sorgerà il sole , che lo costringerà a fuggire , senza potersi accovacciare su nessun ventre femminile.


A questo punto c’è da chiedersi : come facciamo a sapere se il MAZAPEGUL è stato da noi?
Si dice che lasci orme di gatto, quindi se si cosparge di farina il pavimento davanti all’uscio della porta, quando passa dovrebbe lasciare il segno!

Leggenda o realtà...........

IL MAZAPEGUL è un mito che non tramonta mai!

25 febbraio 2008

LA MIA ROMAGNA BALLERINA

Facendo zapping con il telecomando, mi sono soffermata sull'intervista che Raoul Casadei stava rilasciando ad una giornalista riguardante la sua partecipazione ad un famoso reality.
Mentre scorrevano le immagini si sentiva una musica di sottofondo , era……ROMAGNA MIA.......


************* SENTO LA NOSTALGIA D'UN PASSATO ************
OVE LA MAMMA MIA HO LASCIATO
NON TI POTRO' SCORDAR CASETTA MIA
IN QUESTA NOTTE STELLATA
LA MIA SERENATA IO CANTO PER TE.

ROMAGNA MIA, ROMAGNA IN FIORE
TU SEI LA STELLA, TI SEI L'AMORE
QUANDO TI PENSO, VORREI TORNARE
DALLA MIA BELLA AL CASOLARE.
ROMAGNA, ROMAGNA MIA
LONTAN DA TE NON SI PUO' STAR.



Questa canzone fu scritta nel 1954 dal grande SECONDO CASADEI, zio di RAOUL.
SECONDO CASADEI nacque a Sant'Angelo di Gatteo, un piccolo paesino alle porte di Rimini.
Egli fu attratto dalla musica fin da bambino, comincio' a studiare il violino e a 16 anni debutta in una orchestra e a 22 concretizzò il suo sogno : avere un complesso tutto suo che ufficialmente iniziò a suonare al DANCING RUBICONE di Gatteo Mare.
Iniziò con le canzoni DIALETTALI ROMAGNOLE.
Il raggio di azione si allarga e l'ORCHESTRA CASADEI conquista le zone di Cesena, Forli', Ravenna, Rimini, ed in breve tutta la Romagna.
Dalle sagre di paese, passo' alle balere di tutta Italia.
Ed è cosi' che SECONDO CASADEI fondò la prima ORCHESTRA di Ballo Romagnolo.
Fu definito " LO STRAUSS DELLA ROMAGNA", ed il suo entusiasmo, la sua grinta ed il suo amore per questo genere musicale, rappresentò l'espressione più alta e genuina dell'anima ballerina e canterina della ROMAGNA.

Alla fine degli anni 50 , arrivò nel gruppo il nipote RAOUL, che portò nell'orchestra una nuova energia. Insieme furono un'accoppiata vincente, di successo e simpatia. Nasce l'ORCHESTRA SPETTACOLO SECONDO E RAOUL CASADEI, ed insieme diedero inizio al fenomeno " LISCIO. "
Nel 1954 nasce " ROMAGNA MIA", successo indiscusso di questa semplice canzone con note nostalgiche ,ormai ballata e conosciuta in tutto il mondo. La loro fama divenne nazionale.

Alla morte dello zio SECONDO, intorno agli anni 70, RAOUL prende in mano l'orchestra , la ringiovanisce e la rinnova, scegliendo musicisti di alto livello e la chiamerà" ORCHESTRA SPETTACOLO".
Lancia la nuova orchestra in tutta Italia riuscendo a scalare le vette delle classifiche con la canzone " CIAO MARE".
Da li' parte il suo LISCIO TOUR facendo ballare non solo gli italiani, ma tutto il mondo.
Canta i valori della famiglia, dell'amicizia, dell'amore e della tradizione con parole e melodie semplici fatte per essere capite dal grande pubblico, quello più popolare.
Fra i suoi successi musicali vorrei ricordare:

CIAO MARE
ROMAGNA MIA
SIMPATIA
LA MAZURKA DI PERIFERIA
ROMAGNA CAPITALE
LA MUSICA SOLARE
SIMPATICI ITALIANI

Dalla stampa, RAOUL CASADEI, viene ribattezzato "IL RE DEL LISCIO ".
Nel 1980 appende la chitarra al chiodo,non partecipa più alle serate e si dedica completamente alla parte artistica e organizzativa dell'enorme meccanismo che ha creato intorno al ballo.

L'ORCHESTRA CASADEI è la più famosa Orchestra Italiana, con circa 80 anni di storia alle spalle, ha reso celebre il ballo LISCIO non solo in Italia ma in tutto il mondo facendo incontrare e ballare oltre tre generazioni a ritmo di VALZER, MAZURKA e POLKA.
Dalla volontà di mantenere viva ed attuale la tradizione del LISCIO , la famiglia di Secondo Casadei ha fatto costruire a Ravenna la CA' DEL LISCIO, una struttura appositamente dedicata alla musica e ai balli di Romagna.
Oggi il testimone è passato in mano a Mirko, figlio di Raoul Casadei.

L'intervista della giornalista finisce, Raoul alza la mano per salutare, in mano ha sempre la sua famosa pipa e si allontana sulle note di un famoso ritornello.......

CIAO CIAO CIAO CIAO MARE!
SULLA SABBIA E' NATO UN FIORE
NEL MIO CUORE UN GRANDE AMORE.......

18 febbraio 2008

MARCO MELANDRI


Nato a Ravenna il 7 agosto del 1982 MARCO MELANDRI inizia a correre in minimoto all'età di 8 anni e passa gran parte della sua gioventù nei circuiti.
Il pilota ravennate si distingue subito per il suo talento.
Con le mini-moto è campione italiano nel 1992, secondo nel 1993 e di nuovo campione nel 1994.
L'anno successivo viene assunto come collaudatore Honda, e nel 1996 corre e vince la Coppa Honda.
Nel 1997 viene confermato come collaudatore della Honda per il mondiale della classe 125 cc: in occasione dell'infortunio di Mirco Giansanti, pilota Honda titolare, è Marco a prendere il suo posto in gara.
La sua carriera a livello professionistico inizia subito con buoni risultati e ottiene diversi primati, tra i quali quello di essere il più giovane pilota di sempre ad aver vinto un Gran Premio, quando nel 1998, non ancora compiuti i sedici anni trionfa ad Assen, in Olanda nella classe 125.

Il suo primo GP in un mondiale lo disputa nel 1997.
Il primo successo arriva nel 1998 in Olanda.
Nel mondiale del 1998 conclude al terzo posto con due vittorie.
Inizia splendidamente l'anno 1999.
Dopo ottimi piazzamenti arrivano i successi, cinque , di cui tre consecutivi , in sella alla Honda.

Per un punto conclude al secondo posto il mondiale 1999 classe 125, vinto da Emilio Alzamora.
Il ricordo più bello per Marco è la vittoria in 250cc al Mugello nel 2002, momento di svolta della stagione e della sua carriera, perché ha vinto il campionato mondiale 250cc.

Il successo porta Marco a infrangere un altro record: all'età di 20 anni diventa il più giovane campione del mondo nella classe 250, con 9 vittorie su 16 gare in programma.
Sono gli anni in cui sulla scena internazionale dominano i campioni italiani:
da Loris Capirossi a Max Biaggi, e su tutti il fenomeno Valentino Rossi.
Non stupisce che Marco Melandri, un altro italiano, si candidi ad essere uno dei più promettenti protagonisti dello sport del motociclismo , poi passa alla Honda del team di Fausto Gresini nel 2005, andando ad affiancare in squadra il pilota spagnolo Sete Gibernau, Marco è pronto, ragionevole e astuto.
Si concentra su ogni gara e la sua crescita è costante ed evidente.
Subito dopo le prime gare il distacco che Rossi mette tra sè e i suoi inseguitori sembra incolmabile.
Gibernau, un po' per sua sfortuna, un po' per scarsa concentrazione e un po' perchè Valentino Rossi è un fenomeno, rimane indietro.
L'unico che sembra poter competere è proprio il “nostro” Melandri e, ultimamente, Max Biaggi.

Nato e cresciuto a Ravenna, Marco trascorre la maggior parte del tempo tra i circuiti del Motomondiale e la sua casa a Derby in Inghilterra, dove si allena con la moto da cross, assieme ai suoi amici.
I suoi sport preferiti sono il motocross, il ciclismo e il karting, ama leggere libri ed è anche un grande appassionato di musica tanto da improvvisarsi DJ quando capita l'occasione.

Marco Melandri, nel 2008, sarà il prossimo uomo in rosso, l’erede di Capirossi sulla Ducati campione del mondo

14 febbraio 2008

IL GRANDE PIRATA


14 FEBBRAIO : oggi in molti festeggiano SAN VALENTINO.....io ricordo , dopo 4 anni dalla sua morte , MARCO PANTANI , l'eroe di Cesenatico.

MARCO PANTANI , con la sua storia di semplice ragazzo di provincia , scopre la passione per la bicicletta , il ragazzo dalle orecchie a sventola , dal talento e dalle doti atletiche straordinarie che viene sottoposto ad allenamenti durissimi .

Ricordo ancora la sua voglia di vincere , ma anche la jella che lo ha perseguitato nelle sue cadute , nelle faticose risalite, la sua scalata al successo, fino al giugno del "99 , quando a MADONNA DI CAMPIGLIO , si ferma la sua volata in seguito ad un esame che aveva precedentemente fatto, dove è risultato un livello di ematocrito superiore alla norma di quello consentito dal regolamento.

Esordisce come professionista il 5 agosto 1992 con la squadra "Carrera Tassoni", con cui correrà fino al 1996.
La prima vittoria arriva nel 1994, al Giro d'Italia, nella tappa di Meran.
Nel 1995 arriva la vittoria nella tappa di Flumsberg al Giro di Svizzera, ma sono le due tappe (Alpe D'Huez e Guzet Neige) al Tour de France dove preferisce una bandana colorata sul capo al il classico berrettino, Pantani corre con il mito del "Pirata" nasce lì, sulle salite del Tour ed attira l'attenzione del grande pubblico e dei media.
Nello stesso anno vince il bronzo ai Campionati del mondo di Duitama in Colombia, ma è in agguato il primo dramma della sua carriera: il terribile incidente alla Milano-Torino.
Le circostanze lo costringono a lunghe cure e a saltare un'intera stagione.

Nel 1997 riprende le gare passando alla Mercatone Uno, ma la sfortuna sembra ancora perseguitarlo: una caduta al Giro (25 Maggio, tappa di Castrovillari) lo costringe al ritiro, poi si riprende al Tour dove vince la tappa dell'Alpe D'Huez e di Morzine.

Il 1998 è l'anno di una straordinaria impresa: Marco Pantani, indomabile in salita, vince il Giro d'Italia (si impone nelle tappe di Piancavallo e Montecampione) e subito dopo vince il Tour de France.
In Francia vince le tappe di Plateau de Beille e Les Deux Alpes, prima di arrivare al Parco dei Principi, a Parigi, da trionfatore in maglia gialla.
Con questa impresa Pantani entra a pieno merito nell'élite dei campionissimi che hanno vinto Giro e Tour nello stesso anno.

Il 1999 comincia alla grande: Pantani sembra destinato a dominare ancora in Italia e all'estero.
Al Giro si prende la maglia rosa e vince quattro tappe (Gran Sasso, Oropa, Pampeago, Madonna di Campiglio).
Proprio sulle rampe della strada che sale da Pinzolo verso la località delle Dolomiti di Brenta se ne va solo, alla sua maniera, con uno scatto secco, per tutti irresistibile.

E' l'ultima volta che il mondo vede il vero Marco Pantani.

Il mattino dopo quella trionfale vittoria a Madonna di Campiglio, viene fermato: un controllo rivela che il suo ematocrito è troppo alto, fuori norma.
E' un dramma personale che comincia: Pantani si proclama innocente, lascia il Giro che credeva già suo.

L'inattività agonistica che va dal 5 giugno 1999 sino al 22 febbraio 2000 e dal 24 febbraio al 13 maggio 2001, sarà probabilmente la sua condanna.
Tuttavia Marco non rinuncia: prova a reagire e a tornare come prima.
Poi ancora incertezze sul futuro.
Dimostra di voler tornare a buoni livelli e chiude il suo ultimo Giro, nel 2003, al quattordicesimo posto, malgrado l'ennesima sfortuna di una brutta caduta.
Non va al Tour, ma si ricovera in una clinica vicino Padova, a Giugno, per disintossicarsi e per curare le sue frequenti crisi depressive.
E' l'ultima notizia ufficiale, prima della morte.

MARCO PANTANI morirà solo , per una overdose di cocaina, in una stanza di un Residence , a RIMINI , il 14 Febbraio 2004.


Il ricordo di PANTANI che ho in mente è con la sua bandana , l'orecchino , il pizzo tinto di giallo dopo la vittoria del TOUR DE FRANCE , nel 1998 dove diventa per tutti " IL PIRATA", vince fa sognare ed entusiasmare.

10 febbraio 2008

PAGADEBIT DI ROMAGNA


Il PAGADEBIT deve il suo nome("utile a pagare i debiti") alla grande produttività di questo vitigno, dal quale si riuscivano ad ottenere discrete produzioni anche quando, per avverse condizioni atmosferiche, le altre produzioni erano scarse.
La caratteristica dell'uva omonima che concorre per l'85% nella formazione del suo uvaggio.

Si tratta di un vitigno estremamente fertile e produttivo, dagli acini robusti e resistenti anche alle più avverse condizioni climatiche, al punto da essere l'unico, in annate particolarmente sfortunate, a fornire comunque frutti nel vigneto e permettere, quindi, al contadino, di poter effettuare ugualmente un seppur minimo raccolto e "pagare i debiti" contratti l'annata precedente.
Questo vitigno, diffuso con vari sinonimi in tutta Italia centro-meridionale, veniva raramente unificato in purezza, in quanto il vino che ne risultava era considerato pesante e poco gradito dal mercato.
Nella fascia collinare alle spalle di Forlì e Cesena, in produzione limitata ,il PAGADEBIT è sempre stato impiegato in vitigno destinato all'estinzione e la sua rinascita è dovuta solo alla caparbia volontà di pochissimi viticoltori che vinificandolo con tecniche moderne hanno saputo imporlo all'attenzione del mercato che li ha ripagati con il meritato successo, fino a permettere loro di ottenere, nel 1989 il riconoscimento della DOC.
Il colore del PAGADEBIT è giallo paglierino con riflessi verdolini e il suo profumo ricorda sentori floreali, sapore asciutto o amabile , erbaceo , armonico , gradevole , delicato e mostra a volte una classe paragonabile a quella dell’Albana, con maggiore fruttato che bilancia il sottofondo di mandorle.
La gradazione alcolica minima al consumo è di 10,50% per il tipo secco e l'11% per il tipo amabile.
Ottimo per antipasti, specialmente di mare, si accompagna molto bene con il pesce in genere, i crostacei, il prosciutto e con la celebre "piadina romagnola".
E' più apprezzabile se servito fresco e giovane.

******************* TECNICHE TIPICHE **************************

SECCO:

Caratteristiche organolettiche:
colore giallo paglierino,
profumo caratteristico di biancospino,
sapore secco,
erbaceo,
gradevole armonico.

Gradazione alcolica minima: 10,50%
Temperatura di servizio ottimale: 10-12°C
Abbinamenti: verdure fritte, risotto. Ottimo come aperitivo.

AMABILE :

Caratteristiche organolettiche:
colore giallo paglierino,
profumo caratteristico di biancospino,
sapore amabile, erbaceo, gradevole armonico.

Gradazione alcolica minima: 11%
Temperatura di servizio ottimale: 10-12°C
Abbinamenti: con dolci cremosi. Ottimo come aperitivo.

9 febbraio 2008

IL SANGUE DELLA ROMAGNA


Il SANGIOVESE è il sangue della Romagna e scorre abbondante sulle nostre tavole.

Il SANGIOVESE è un prodotto importante della tradizione romagnola ed uno specchio del territorio e dell’orgoglio locale.
Pur rappresentando una grande risorsa per la viticoltura italiana in genere, dal momento che il vitigno sangiovese è assai diffuso a livello nazionale e concorre alla produzione di vini di grande forza e sapore come, ad esempio, il CHIANTI ed il BRUNELLO DI MONTALCINO, il sangiovese è romagnolo di nome e di fatto.

Si dice che il Sangiovese della Romagna contenga il carattere dei romagnoli: franco, esuberante, schietto robusto ed ospitale e nello stesso tempo ruvido, all'esterno, ma sincero e delicato, all'interno.
Il Sangiovese di Romagna Doc viene prodotto da uve raccolte in un’ampia zona collinare compresa nelle provincie di Bologna, Forlì–Cesena, Rimini e Ravenna ed è stato il primo ad essere riconosciuto tra i vini Doc nel comprensorio romagnolo.
La Doc prevede le tipologie NOVELLO, SUPERIORE e RISERVA.
Il vino novello, ottenuto con almeno il 50% di vino proveniente dalla macerazione carbonica delle uve, è un'esplosione di profumi, colori ed esuberanza giovanile.
Il sangiovese può portare la qualifica Superiore se le uve provengono da un'area limitata all'interno della zona di produzione e garantiscono al vino una gradazione alcolica minima del 12% e può essere messo in commercio solo a partire dal I° aprile dell'anno successivo alla vendemmia, mentre con 2 anni di invecchiamento può portare la qualifica Riserva.
La produzione del Sangiovese di Romagna Doc prevede la pigiatura delle uve, che vengono messe a fermentare e a macerare con la vinaccia.
Finita la macerazione, la svinatura permette la separazione delle bucce e dei vinaccioli dal mosto-vino. A questo punto il vino viene travasato più volte, per eliminare eventuali sostanze solide e in seguito avviato all’affinamento e all’invecchiamento. Al termine di questo periodo, il vino, viene stabilizzato e infine imbottigliato.

Le prime notizie storiche sul vitigno sangiovese risalgono al 1600, mentre il suo nome (in dialetto "sanzve’s") sembra derivare dal “Monte Giove”, una collina che si trova presso Sant'Angelo di Romagna.
La tradizione è affidata ad una leggenda locale secondo la quale i frati cappuccini del convento di Sant’Angelo, che tra le altre cose coltivavano la vite e producevano un favoloso vino rosso, un giorno ospitarono nel loro convento, un illustre personaggio.
I frati offrirono all’ospite il loro vino. Questi, gradì tale vino e ne chiese il nome, mettendo i frati in imbarazzo poichè‚ non avevano mai pensato di dargli un nome. Uno dei monaci, però, con prontezza di spirito disse che il vino si chiamava Sanguis Jovis (Sangue di Giove), nome che nei secoli si mutò in "Sangue di Giove" e poi in "sangiovese".

Il Sangiovese è il simbolo dell'Ente Tutela Vini di Romagna, consorzio di produttori sorto nel 1967 con lo scopo di tutelare e valorizzare i Vini di Romagna e vigilare sulle DOC.
L'Ente lega, inoltre, la sua immagine a quella del Passatore, leggendario brigante del 1800.

*************** CARATTERISTICHE:********************
colore rosso rubino, talora con orli violacei;
profumo vinoso, arricchito da un profumo delicato che talvolta ricorda la viola,
sapore asciutto, armonico, talvolta leggermente tannico, con retrogusto gradevolmente amarognolo.

***************** ABBINAMENTI: **********************
Il Sangiovese di Romagna Doc si abbina bene ad antipasti a base di salumi,
a piatti a base di carni rosse,
arrosti misti e grigliate,
a primi piatti di pasta secca o ripiena con sughi di carne e pomodoro,
a parmigiano e grana stagionati e formaggio di fossa.

Il Sangiovese superiore è più adatto a pietanze come
brasato, selvaggina di piuma
e faraona.
Va servito a temperatura di cantina
Per conoscerlo meglio, a Predappio c'è la Ca' de Sanz'Ves, enoteca gestita dall'Ente tutela vini romagnoli.

8 febbraio 2008

IL PITTORE ROMAGNOLO DEL RINASCIMENTO


MELOZZO DEGLI AMBROSI, nato nel 1438 e vissuto fino al 1494, prese dalla propria città natale il nome da artista e passò alla storia come MELOZZO DA FORLI'

Melozzo si spostò dalla Romagna per lavorare a Loreto, Roma ed Urbino.
Fu uno degli artisti più caratteristici e ricercati del suo tempo ed ancora oggi occupa un posto di gran riguardo nei testi di Storia dell’Arte Italiana.
Non si conoscono tantissimi dati biografici, dettagli della sua formazione artistica o notizie sui primi tempi della sua produzione pittorica, ma si suppone, data la sua educazione artistica ad Urbino, che fosse un seguace allievo del grande PIERO DELLA FRANCESCA , i cui lavori ebbe modo di studiare proprio durante la sua permanenza nella città marchigiana nel periodo fra il 1465 e il 1475.
Lo stile di Melozzo da Forlì è piuttosto affine a quello di Piero della Francesca.

Melozzo apprese dal Maestro l’arte e la scienza della prospettiva, grande innovazione della pittura rinascimentale e i lucenti e densi impasti cromatici. Melozzo da Forlì è anche conosciuto per la sua visione spaziale ampia e solenne nella quale si affermano appieno il suo gusto per la rappresentazione scenografica e la sua ammirevole abilità prospettica, tale da far scrivere a GIORGIO VASARI nel XVI secolo: il Melozzo fu “un grandissimo prospettivo”.

La sua figura ebbe parte di rilievo negli ambienti umanistici alla corte pontificia e la sua opera contribuì notevolmente allo sviluppo della pittura nell’Italia centrale della seconda metà del XV secolo.
Nel 1477 dipinse nella biblioteca vaticana l’affresco Sisto IV consegna la Biblioteca Vaticana all'umanista Bartolomeo Platina, ora conservato nella Pinacoteca Vaticana.
Nel 1480 eseguì un’affresco per l’abside della Chiesa dei Santi Apostoli a Roma (ora nel palazzo del Quirinale) e gli Angeli Musicanti (ora nella Pinacoteca dei Musei Vaticani).
Nel 1484, in collaboratione con il Palmezzano (Forlì, 1459 ca. - Forlì 1539), altro grande artista romagnolo e protagonista della pittura rinascimentale italiana, che fu suo allievo, Melozzo affrescò la cupola della Cappella del Tesoro nella Basilica di Loreto.
Sempre collaborando con il Palmezzano, dipinse anche gli affreschi della Cappella Feo nella ex chiesa di San Biagio a Forlì, purtroppo distrutti nel 1944.
Altre opere da ricordare sono :
gli affreschi della Cappella di S.Elena nella Chiesa di S.Croce in Gerusalemme a Roma (1489),
la decorazione del Palazzo Comunale di Ancona (1493).
Oltre ai bellissimi affreschi, Melozzo da Forlì ci ha lasciato anche diversi dipinti, fra i quali vogliamo ricordare l’Annunciazione, ora nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
Solo in tempi relativamente recenti si è riscoperto il valore di questo pittore di origine romagnola e, anche se poche delle opere di Melozzo da Forlì sono giunte fino ai giorni nostri, esse sono, comunque, in numero sufficiente a testimoniare la portata dei capolavori di questo grande artista e maestro della pittura quattrocentesca.

3 febbraio 2008

GIOTTO.....A RIMINI...


Vi sono opere di GIOTTO nella chiesa francescana di Rimini, e ricerche recenti hanno dimostrato non solo la piena attendibilità sulla presenza di questo artista nella provincia Romagnola, ma anche il fatto che le informazioni su Giotto sono state raccolte entro il 1308.

Questa scoperta ha contribuito a sciogliere la questione, molto dibattuta dagli specialisti, della datazione del soggiorno riminese del pittore, che oggi si tende a collocare verso il 1300, poco prima o poco dopo il viaggio a Roma.
E' possibile che, oltre che per i Francescani, Giotto abbia lavorato per Malatesta da Verucchio, che proprio in questo periodo stava affermando il suo potere e intratteneva stretti rapporti con i frati minori.

La presenza di GIOTTO A RIMINI fu determinante per lo sviluppo di una scuola pittorica autonoma riminese, che fiorì nella prima metà del secolo ed ebbe tra i suoi maggiori rappresentanti Giovanni, Giuliano, Pietro (tutti detti "da Rimini") e Giovanni Baronzio.
Questi artisti si formarono su opere giottesche importanti, oggi perdute, probabilmente uno o più cicli pittorici.
E' difficile attualmente tentare di individuare il soggetto e la collocazione di questi dipinti. Infatti, quelli della chiesa francescana andarono probabilmente distrutti all'epoca dell'intervento di Leon Battista Alberti che la trasformò in Tempio Malatestiano. La lunga descrizione di cui siamo in possesso circa questi affreschi sembra riferirsi ad una narrazione di tono tardogotico.

La studiosa inglese Dillian Gordon ha infine proposto che provenga da Rimini un complesso di sette tavolette di Giotto con Storie di Cristo, ora distribuite tra vari musei :
New York,
Metropolitan Museum: Natività-Epifania;
Boston,
Isabella Stewart Gardner Museum: Presentazione al Tempio;
Monaco,
Alte Pinakothek: Ultima Cena,
Crocifissione e Discesa al Limbo;
Settignano, Collezione Berenson: Deposizione nel Sepolcro;
Londra, National Gallery: Pentecoste,
ma la sua ipotesi non è stata presa in grande considerazione dalla comunità scientifica.

La croce, recentemente collocata sopra l'altare maggiore a Rimini, è mutila, essendo stata segata alle estremità dei quattro bracci; sono perduti i terminali con Maria e San Giovanni dolenti, mentre la cimasa con l'Eterno venne rintracciata da Federico Zeri in una collezione privata inglese.
A lungo trascurato dagli studiosi, anche perché pesantemente ridipinto, fu rivalutato dopo il restauro del 1934; ritenuto in un primo tempo l'opera di gran lunga più rappresentativa della scuola riminese, venne poco dopo attribuito a Giotto da Roberto Longhi e da Luigi Coletti.
La sua caratteristica forma, con raccordi tondeggianti all'incrocio dei bracci e all'innesto dei tabelloni, è stata ripresa successivamente da numerosi pittori locali, a partire dal Crocifisso di Giovanni da Rimini a Mercatello sul Metauro, la cui data può forse essere letta 1309.

Anche in questo aspetto, l'importante tradizione del Trecento riminese rivela il suo debito nei confronti di Giotto. La critica si è divisa tra una datazione posteriore al soggiorno padovano (1303-1305) e una anteriore.

Questa seconda posizione sembra prevalere nei contributi più recenti, che sottolineano nel dipinto la presenza di caratteri stilistici intermedi tra il Crocifisso di Santa Maria Novella a Firenze, ritenuto una delle più antiche opere giottesche, e quello per la cappella degli Scrovegni a Padova.
La tavola di Rimini, infatti, si differenzia dalla croce fiorentina per la maggiore finezza della figura del Cristo, che prelude alle soluzioni più raffinate sperimentate nelle opere successive, e mantiene tuttavia la netta definizione cromatica delle opere giovanili.
Alcuni rilievi sulla tecnica eseguiti di recente, in relazione al restauro del Crocifisso fiorentino, hanno messo in evidenza anche le affinità di stesura pittorica.
D'altronde, le opere di Giotto che rivelano le maggiori affinità stilistiche con il Crocifisso riminese sono le Stigmate di San Francesco ora al Louvre e con il polittico di Badia degli Uffizi, generalmente collocati in una fase abbastanza precoce.
Un altro possibile indizio per la datazione potrebbe essere un foglio miniato di Neri da Rimini con la data 1300 (Venezia, Fondazione Cini), in cui le figure a mezzo busto della Vergine e di San Giovanni potrebbero rispecchiare quelle un tempo presenti nel Crocifisso giottesco.
Nonostante la complessità della "qustione riminese" il Crocifisso di Giotto è una tappa fondamentale per il turismo a Rimini.

2 febbraio 2008

ISOTTA


Isotta degli Atti :
Figlia di Francesco degli Atti, ricco mercante e cambiatore, nacque a Rimini alla fine del 1432 o al principio del 1433; le fu imposto il nome della madre, morta nel darla alla luce. Nel 1445, alla tenera età di dodici o tredici anni, fu notata e corteggiata da Sigismondo Pandolfo Malatesta, che la conquisterà nel 1446.

Nel 1447 ebbe il suo primo figlio, Giovanni, che morì in fasce. Nel 1449, dopo la morte della seconda moglie Polissena, il Signore di Rimini potè finalmente rendere pubblica la sua relazione con Isotta, che i poeti e gli artisti di corte si affrettarono a celebrare in tutti i modi.
L'unione, allietata da vari figli, fu regolarizzata dal matrimonio, celebrato in forma privata nel 1456.

Poco si sa della vita di Isotta negli anni del declino del Principe. Dopo la morte di Sigismondo (1468), Isotta assunse il governo della città insieme col figliastro Sallustio e tentò inutilmente un accordo con Roberto.
Questi, nel 1469, ordinò l'uccisione di Sallustio e conquistò la Signoria. Isotta morì nel 1474 e fu sepolta con tutti gli onori nel Tempio Malatestiano.

1 febbraio 2008

SIGISMONDO PANDOLFO MALATESTA



Che cosa non è stato detto e scritto da cronisti e storici, da romanzieri e poeti, sulla vita e le gesta di Sigismondo?
Chi ne fa un volgare assassino, chi lo celebra come mecenate e capitano, chi lo definisce « più belva che uomo », chi lo giustifica e lo assolve alla stregua delle condizionali morali, politiche ed economiche del tempo in cui visse.

Una cosa è però certa: Sigismondo non ci appare, né va considerato come un personaggio che desti solamente curiosità.


Figlio illegittimo di Pandolfo III Malatesta e di Antonia da Barignano, nacque il 19 giugno 1417 quasi certamente a Brescia, di cui il padre era Signore.
All'età di dieci anni, rimasto orfano del padre, venne a Rimini con i fratelli Galeotto Roberto e Domenico, alla corte dello zio Carlo Malatesta; questi, privo di eredi, accolse i tre nipoti sotto la sua protezione e ne ottenne dal papa la legittimazione. Nel 1429, alla morte di Carlo, ereditò la Signoria il primogenito Galeotto Roberto, che due anni dopo abbandonò la vita mondana e lasciò il potere al giovanissimo Sigismondo.

Sigismondo fu troppo temuto e invi­diato in vita per meritare di essere adeguata­mente giudicato dopo morto.
È qui, in fondo, la causa che ci nasconde ancora la sua vera anima; la quale denota tuttavia - i più re­centi studi lo provano - una singolare fusione di ciechi istinti e di raffinata intelligenza. Si sa che gli elogi più attendibili sono quelli degli avversari.
Ebbene Pio II Piccolomini che osteggiò Sigismondo in tutti i modi, che lo scomunicò, che lo dipinse coram populo come eretico e colpevole di « omicidio, stupro, adulterio, incesto, sacrilegio, spergiuro» e d'infiniti altri « turpissimi e atrocissimi misfatti», ebbe a scrivere di lui queste parole che nella traduzione letterale: « Aveva un singolare acume, era dotato di una pari forza fisica; conosce la storia nelle sue tradizioni e nei suoi avvenimenti; qualsiasi argomento s'accinse a trattare, sembrava nato per essi» (Commenta­rii, II, 9).

Questo giudizio ci fa capire molte cose di Sigismondo.
La sua inflessibile energia, la sua ambizione, la sua audacia, il suo acuto ingegno, il suo trasporto per l'arte, il suo amore per Isotta.
Quest'ultimo fu il più pro­fondo sentimento che avesse radici nel suo animo. Sigismondo si innamorò di Isotta, figlia di Fran­cesco di Atto degli Atti, nobile di Sassoferrato che godeva in corte uffici e dignità ragguarde­voli, quand'ella era appena una fanciulla. Lui aveva poco più di venti anni.
L'amore crebbe col passar del tempo e fu corrisposto. Isotta era intelligente, colta e - con buona pace di certi intenditori - anche bella.


Nel 1433 il Malatesta fu creato cavaliere dal vecchio imperatore Sigismondo di Lussemburgo, passato per Rimini di ritorno da Roma.
Nel 1434 sposò Ginevra, figlia di Niccolò d'Este.
Sigismondo, che aveva mostrato precocissime attitudini militari, divenne uno dei più abili e valorosi capitani delle armi pontificie e fu nominato gonfaloniere della Santa Sede.

Nel 1437 ebbe inizio la costruzione di Castel Sismondo.
Nel 1440, morta Ginevra, Francesco Sforza offrì a Sigismondo la mano della figlia Polissena. .
Nel 1444, al termine di una brillante campagna militare, conquistò Senigallia e Mondavio.
Nel 1447, per un ritardo nel pagamento degli stipendi, abbandonò Alfonso d'Argona, di cui era al soldo, e passò al servizio di Firenze. Il voltafaccia gli procurò molti nemici, che lo esclusero dai benefici della pace di Lodi (1454).

Nel 1448 Polissena era morta; Sigismondo, che fin dal 1446 aveva una relazione con la giovanissima Isotta degli Atti, potè infine renderla pubblica (Sigismondo e Isotta si sposeranno nel 1456).
Nel 1449 avevano avuto inizio i lavori di radicale rifacimento dell'interno della chiesa di San Francesco, il futuro Tempio Malatestiano; nel 1450 era stata affidata a Leon Battista Alberti la progettazione dell'esterno.
Gli anni successivi al 1450 costituirono il momento di maggior splendore della corte di Sigismondo, che - da intelligente e generoso mecenate - si circondò di artisti e intellettuali di fama: l'Alberti, appunto, e inoltre Piero della Francesca, Agostino di Duccio, Matteo dè Pasti, Roberto Valturio, Basinio di Parma e numerosi altri.

Nel 1459 salì al soglio pontificio Pio II, da tempo ostile a Sigismondo, che al congresso di Mantova gli impose umilianti condizioni. Ferito nell'orgoglio, Sigismondo si ribellò al papa, che nel 1460 lo scomunicò e si alleò con Federico da Montefeltro, il nemico mortale del Malatesta.
Stritolato dalla coalizione, Sigismondo fu privato di tutti i suoi domini e conservò la sola città di Rimini.
Nel 1464 andò in Morea, a combattere contro i Turchi; tornò in patria nel 1466, alla morte di Pio II, ammalato e prostrato.
Morì il 7 ottobre 1468 e fu sepolto nel Tempio Malatestiano, che le vicissitudini degli ultimi anni non gli avevano permesso di completare.

FEDERICO FELLINI


Federico Fellini è nato a Rimini il 20 gennaio 1920 ed è morto a Roma il 31 ottobre del 1993.
La famiglia d'origine è piccolo-borghese: la madre Ida Barbiani, romana, è casaligna e il padre, Urbano, che proviene da Gambettola, è rappresentante di commercio, soprattutto di generi alimentari.

Fellini frequenta il liceo classico della città e comincia a fare i primi piccoli guadagni come caricaturista: il gestore del cinema Fulgor gli commissiona ritratti di attori celebri da esporre come richiamo. Nell'estate del 1937 Fellini fonda, in società con il pittore Demos Bonini, la bottega "Febo", dove i due eseguono caricature di villeggianti.

Durante il 1938 sviluppa una sorta di collaborazione epistolare con giornali e riviste, come disegnatore di vignette: la "Domenica del Corriere" gliene pubblica una dozzina nella rubrica "Cartoline dal pubblico", mentre con il settimanale fiorentino "420" il rapporto diventa più professionale e prosegue fino ad accavallarsi con il primo periodo del "Marc'Aurelio".

In questi anni Fellini vive già stabilmente a Roma, dove si è trasferito nel gennaio 1939, con la scusa di iscriversi a giurisprudenza.
Fin dai primi tempi, frequenta il mondo dell'avanspettacolo e della radio, dove conosce, fra gli altri, Aldo Fabrizi, Erminio Macario e Marcello Marchesi, e comincia a scrivere copioni e gag.

Alla radio incontra, nel 1943, anche Giulietta Masina che sta interpretando il personaggio di Pallina, ideato dallo stesso Fellini, nella commedia Le avventure di Cico e Pallina: nell'ottobre di quell'anno i due si sposano.

Dopo aver collaborato come sceneggiatore ad alcuni film di "serie B", incontrò Roberto Rossellini, per il quale sceneggiò Roma città aperta e Paisà.


Esordì nella regia nel 1951 con : Luci del varietà, girato a quattro mani con Alberto Lattuada.
Nel 1952 diresse : Lo sceicco bianco.
Seguirono I vitelloni (1953) e La strada (1954), che gli valse il suo primo Premio Oscar.
Ottenne il secondo Oscar con Le notti di Cabiria (1957).
Protagonista di entrambi i film era la moglie Giulietta
Tra i suoi film successivi:
La dolce vita (1959), Palma d'oro a Cannes,
8 e 1/2 (1963), terzo Oscar,
Fellini-Satyricon (1969),
Roma (1972),
Amarcord (1973), quarto Oscar,
Casanova (1976),
Prova d'orchestra (1979),
E la nave va (1983),
Ginger e Fred (1985)
La voce della luna (1990), suo ultimo film.
Nel 1993 gli fu conferito il Premio Oscar alla carriera.
Si è spento a Roma il 31 ottobre 1993.
Riposa nel cimitero di Rimini.

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